Radiografia del torace

Radiografia torace

RADIOGRAFIA DEL TORACE

Che cos’è
La radiografia del torace è l’indagine radiologica di più frequente esecuzione nella pratica clinica.
Essa si basa sull’utilizzo dei raggi X che sono radiazioni ionizzanti e permette di visualizzare le strutture del torace, in particolare:
–    il polmone
–    il cuore e i vasi sanguigni del mediastino
–    alcune strutture scheletriche come le coste e le vertebre di un tratto di colonna vertebrale.
La radiografia del torace è un’indagine di rapida esecuzione, non invasiva, che sottopone il paziente ad una dose molto bassa di radiazioni e risulta eseguibile praticamente in ogni paziente e in ogni condizione clinica.
Negli anni vi è stata una continua evoluzione nella tecnica di esecuzione dell’esame; attualmente, presso il nostro Centro, la radiografia del torace viene eseguita con tecnologia digitale che consente di ottenere immagini radiografiche di elevata qualità diagnostica.
Con questa tecnica è possibile, inoltre, creare un archivio digitale contenente le immagini degli esami radiologici eseguiti in modo da poterli rapidamente visualizzare tramite computer ogni volta che ve ne sia la necessità.

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Tumore al polmone, la biopsia liquida può essere un’arma in più

Più facile da eseguire, ma ugualmente efficace: basta un prelievo di sangue, mentre
in quella tradizionale deve intervenire il chirurgo per estrarre tessuto tumorale

Per i pazienti con un tumore del polmone in fase avanzata una biopsia liquida non invasiva potrebbe essere un’alternativa migliore al prelievo standard di un campione del tessuto polmonare. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research dai ricercatori americani dell’Abramson Cancer Center della University of Pennsylvania, nei malati con un carcinoma polmonare non a piccole cellule (la forma più diffusa di cancro polmonare) l’innovativa metodica sarebbe più adeguata per individuare mutazioni genetiche rilevanti e decidere l’iter terapeutico da seguire.

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Selenio, mio-inositolo e iodio: ecco come gli integratori possono aiutare la tiroide

cibi per combattere l'ipertiroidismo

L’endocrinologa spiega quale può essere il ruolo degli integratori naturali e dell’alimentazione nel trattamento dell’ipotiroidismo. Risposte anche su quando è necessario assumere un farmaco per la tiroide e sui valori di Tsh

 

Ipotiroidismo: si può trattare con rimedi naturali e alimentazione
Domanda. Mi hanno riscontrato un ipotiroidismo (valori 5,74) senza noduli alla tiroide. Avevo tutti i sintomi accentuati, compreso aumento di peso e fatica a perdere anche solo un grammo. Sono vegana, non uso medicinali, ero ricorsa ad un endocrinologo che tratta i pazienti con prodotti fitoterapici fatti da lui. Mi ha riscontrato una insulino-resistenza senza iperinsulinemia. Dopo un paio di mesi ho lasciato la cura in quanto i sintomi erano ancora tutti presenti compreso il peso nonostante una apparente perdita di liquidi iniziale. Ora assumo 1/4 di compressa di levotiroxina  perché metà compressa mi dava tachicardia, melatonina e vitamina D. Le chiedo cortesemente dopo quanto posso fare un primo controllo del Tsh per vedere se è cambiato qualcosa e non assuefarmi all’ormone che non voglio assumere a lungo? Premetto che, secondo me, nonostante i molti sintomi, non avrei dovuto rinunciare così presto a dei rimedi naturali. Nessuno dei medici che ho consultato mi ha parlato di alimentazione. Grazie ad internet ho scoperto che alcuni cibi sono consigliati ed altri no, però è sconfortante spendere tanti soldi e non ottenere le risposte giuste, ma solo terapie prestabilite.
 Risposta. Inizio col rispondere alla domanda più diretta: il prelievo per verificare il dosaggio della terapia si deve fare Continua a leggere

Mbi, nuova tecnica più efficace della mammografia nell’individuare il tumore al seno

Radiografia torace

Si chiama Molecular Breast Imaging (MBI) ed è una nuova arma diagnostica che si è dimostrata quattro volte più efficace in associazione all’esame tradizionale nella rilevazione dei tumori nei casi di tessuto mammario denso, più tipico delle donne giovani. In Italia non è ancora disponibile, ma stanno per partire dei test in alcuni centri di medicina nucleare

Una nuova possibile arma diagnostica per il tumore al seno. Si chiama Molecular Breast Imaging (MBI) ed è una tecnica innovativa, nota anche come scintimammografia, che secondo i medici può essere uno strumento di diagnosi efficace soprattutto per le donne che hanno un tessuto mammario denso nelle quali spesso la mammografia non riesce a identificare il tumore.

Come funziona la tecnica. Questa nuova tecnica utilizza un tracciante radioattivo che “accende” le eventuali aree di cancro all’interno del seno. Il tracciante viene iniettato nel corpo attraverso una vena del braccio. Le cellule del cancro al seno tendono ad assumere la sostanza radioattiva molto più che le cellule normali. Attraverso uno scanner di medicina nucleare si analizza il seno, alla ricerca di eventuali aree in cui si sia concentrata la sostanza radioattiva. In questo modo il tumore viene identificato più facilmente. “Si tratta dell’evoluzione di una tecnica che esiste già da anni che è la scintimammografia, ma che è poco utilizzata perché era poco sensibile – spiega Pierfranco Conte, professore di oncologia presso l’Università di Padova e l’Istituto Oncologico Veneto – . Questa nuova tecnica usa come tracciante il fluorodeossiglucosio Continua a leggere

Così hanno pagato gli scienziati per attribuire le malattie cardiache ai grassi (e non allo zucchero)

scienziati- malattie cardiache- grassi

L’industria saccarifera negli anni ’60 pagò gli scienziati per minimizzare l’importanza del collegamento tra il consumo di zucchero e l’insorgere di malattie cardiache e attribuirne invece la causa agli acidi grassi saturi, ovvero i grassi presenti nella carne e nei suoi derivati, nei latticini e in alcuni oli vegetali.

Questo è quanto emerge da documenti interni del settore, scoperti di recente da un ricercatore dell’Università della California, e pubblicati lunedì scorso sulla rivista JAMA Internal Medicine: questi documenti suggeriscono, riporta il New York Times, che almeno 50 anni di ricerca sul ruolo della nutrizione nello sviluppo delle malattie cardiache sono stati influenzati dall’industria saccarifera, incluso alcune raccomandazioni della dieta odierna.

“Sono stati in grado di deragliare la discussione sullo zucchero per decenni,” osserva Stanton Glantz, professore di medicin alla U.C.S.F. di San Francisco e autore dello studio. Continua a leggere

Andare in bicicletta riduce il rischio di diabete (anche dopo i 50 anni)

Nel mondo ne soffrono più di 400 milioni di persone e ogni giorno la malattia causa 14mila decessi. Fondamentale la prevenzione: dieta sana e movimento quotidiano

Il diabete colpisce nel mondo 415 milioni di persone e cresce ogni anno al ritmo di 7 milioni di nuovi casi. Ogni giorno causa più di 14mila decessi. Fortissimo anche il suo impatto economico: assorbe il 12% della spesa sanitaria mondiale (oltre 600 miliardi di euro). Ed è una malattia in costante aumento: secondo l’International Diabetes Federation potrebbe colpire un adulto su dieci entro il 2040, ovvero 642 milioni di individui. Ancora più pessimista l’analisi della Monash University australiana pubblicata su Nature Reviews: secondo gli autori, i diabetici nel mondo sarebbero oggi 520 milioni, con una notevole sottostima dei casi reali a causa di test diagnostici non sempre adeguati o eseguiti correttamente.

Prevenire con attività fisica e alimentazione

Ma il diabete di tipo 2 (quello che insorge in età adulta) si può in parte prevenire. Con uno stile di vita sano e attivo. La dieta è fondamentale, certo. Ma anche il movimento. Un ampio studio danese, pubblicato sulla rivistaPLOS Medicine, ha coinvolto quasi 25mila uomini e 28mila donne tra i 50 e i 65 anni: i ricercatori dell’Università della Danimarca Meridionale (Syddansk Universitet) hanno esaminato lo stato di salute dei partecipanti per alcuni anni e raccolto informazioni sul loro stile di vita, in particolare sul livello di attività fisica svolta e l’alimentazione. Obiettivo del lavoro era dimostrare che anche un semplice impegno quotidiano come spostarsi in bicicletta può aiutare a prevenire il diabete. I risultati sono stati chiari: pedalare riduce il rischio di ammalarsi di diabete e più si pedala, più si allontana la malattia, con effetti positivi che si ottengono anche iniziando in tarda età, dopo i 50 anni. Lo studio mostra che chi inizia tardi a usare la bicicletta ottiene (mediamente) una riduzione del rischio di diabete del 20%. Gli effetti benefici delle due ruote emergono indipendentemente da altri fattori che possono influire sul rischi di malattia, come alimentazione, problemi di peso.

Incominciare a lavorare prima delle 10 del mattino provoca stress e stanchezza

Numerosi studi mettono in evidenza il rapporto tra sonno, salute e produttività. E ora un ricercatore dell’Università di Oxford, lancia una campagna per cancellare l’abitudine di andare in ufficio troppo presto

 

IN UFFICIO, mai prima delle 10 del mattino. Per dormire un poco di più e alzarsi con calma, perché obbligare i dipendenti ad arrivare troppo presto al lavoro provoca stress. Il risultato è che siamo tutti più stanchi e meno produttivi. Lo sostiene un ricercatore dell’Università di Oxford che da anni studia l’argomento. L’orario più diffuso nelle aziende è quello dalle 9 alle 17, ma Paul Kelley sostiene che questa fascia temporale non è sincronizzata con le esigenze dell’organismo delle persone al di sotto dei 55 anni. E tutto questo rappresenta una “minaccia” non solo per la produttività, ma anche per l’umore e la salute mentale.

Per difendere la sua tesi Kelley, che già in precedenza aveva presentato analisi in materia, ha lanciato una campagna. Fra i rischi da non sottovalutare, ricorda, c’è l’aumento di peso, un calo delle difese immunitarie, perdita della memoria e dell’attenzione, tutti rischi da non sottovalutare. “Per questo sarebbe necessario – sostiene Kelley – fare una grande rivoluzione e rispettare l’orologio biologico delle persone nell’organizzare l’attività professionale”.

Da numerose ricerche è emerso che durante la pubertà si verifica un fisiologico cambiamento dei ritmi circadiani che porta i ragazzi ad andare a dormire in media due ore dopo rispetto ai bambini. E per questo dovrebbero dormire di più al mattino. Alcuni test hanno messo in evidenza che i ragazzini di 10 anni sono poco concentrati prima delle 8,30, mentre i sedicenni ottengono migliori risultati dopo le 10 e gli universitari dalle 11 in poi. Kelley, ha portato avanti una serie di test nelle scuole, ed è convinto che spostando l’orario della scuola più avanti si migliorerebbero le prestazioni degli studenti del 10 per cento. Nel Regno Unito, fra l’altro’ è stata avviata una vasta indagine sul tema. E anche l’American Academy of Pediatrics (AAP) nelle sue linee guida ha invitato le scuole a modificare l’orario di inizio delle lezioni soprattutto per gli adolescenti. 
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Radiografia torace

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